IL MORTO DEL MESE

mercoledì 12 dicembre 2012

Ravi Shankar (1920-2012)

ENCINITAS, CALIFORNIA, STATI UNITI D'AMERICA - Odiava gli hippie, si rifiutava di riconoscere sua figlia Norah Jones nonostante il test del Dna ne avesse confermato la paternità e, ovviamente, era il più famoso musicista indiano della storia, anche più di Jagiit Singh.

Come avrete capito da questi pochi indizi, dal nome posto a titolo di questo necrologio e dalla foto, muore oggi Ravi Shankar. Sicuramente quando pensate a lui lo immaginate circondato dai Beatles o almeno affiancato a George Harrison che di Shankar fu allievo e sostenitore sin da quando i Byrds (quelli delle cover di Bob Dylan) glielo presentarono. Shankar era però nel music-business già da molto tempo: ex ballerino a 18 anni, abbandonò la danza per darsi allo studio della musica classica indiana; è del 1939 il suo primo concerto e già nel '45 aveva ricomposto la canzone popolare Saare Jahan Se Achcha (qui cantata nell'arrangiamento di Ravi da una vecchia in fin di vita).

Quando negli anni '50 il mondo occidentale sembrò interessarsi alla musica indiana, Shankar prese la palla al balzo e iniziò ad andare in tour in Gran Bretagna, in Germania e negli Stati Uniti dove in uno studio di registrazione conobbe appunto i Byrds. L'inserimento del sitar in pezzi dei Beatles come Norvegian Wood lanciò la moda del rock dei ragazzi (raga rock). In questo tripudio di orientalismi e droghe Shankar era il beniamino di tutti, tanto che lo fecero suonare anche a Woodstock. Proprio lì capì che il movimento hippie gli faceva abbastanza schifo, ma già aveva avuto da ridire contro Jimi Hendrix quando suonò al Monterey Pop festival due anni prima:
I thought he was fantastic, but so very loud, and then he would do that thing with his instrument when he would open up a can of gasoline and burn his guitar. People went gaga for it; they loved it. But for me, the burning of the guitar was the greatest sacrilege possible. I just ran out of there. I told them that even if I had to pay some kind of compensation to get out of playing the festival, I just couldn’t do it.
La sua carriera andò avanti più a lungo del chitarrista piromane, divenne professore di musica in California, iniziò a suonare con la London Simphony Orchestra e nonostante la moda della musica indiana andasse scemando suonò con l'inseparabile Harrison nel Concerto per il Bangladesh, una manifestazione che Ravi aveva pensato come una piccola cosa con Peter Sellers per recuperare qualche soldo da mandare al 'Paese del Bengala' appena uscito da un ciclone e una guerra civile, ma che si trasformò nel primo dei grandi concerti in cui i cantanti famosi si abbracciano e cantano tutti insieme. Il concerto fu un successone: 40mila persone, 250mila dollari spediti al Bangladesh, un documentario che girò nelle sale cinematografiche e tutto questo senza la presenza di Zucchero (!!!)

Ad ogni modo, dopo un piccolo infarto dovuto allo stress della vita in tour (era un musicista, mica un santone), Shankar continuò la sua carriera alla grande: suonò con Zubin Mehta, con Philip Glass, alla Casa Bianca, nello show di Krusty il Clown, divenne parlamentare del governo indiano, seppellì un po' di allievi (tra cui anche un figlio poco dotato) e compose la colonne sonora del film su Gandhi.

Morto lui, a portare avanti il suo peculiare stile sitaristico (si dirà così?) rimane l'unica figlia benvoluta e riconosciuta, Anoushka Shankar, a cui Ravi ha svelato tutti i trucchi del mestiere.

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Morirono così