MEDESANO, PARMA, ITALIA - Non fa in tempo a guadagnarsi un posto tra gli Oscar Mondadori che la morte se lo porta via. Come avrete intuito dal titolo e dalla foto che campeggiano su questo post oggi parliamo del poeta Pier Luigi Bacchini, ex studente di medicina che dedicò la sua vita a scrivere versi sulla natura e l'universo.
Proprio la sua attitudine a mescolare termini medici e botanici a quelli poetici gli hanno dato lustro tra i colleghi: la scienza non spiega solo le cose, ma avvolge il tutto di un fascino misterioso ancora più fitto.
Non doratevi, già segretamente aurate,
non arrugginite, non raggrinzite
quanto un piccolo pugno,
disseccato; restate sempreverdi
finte immortali, simili all'altamente profumata
- e nemmeno sfrangiata
di fronte al vento, coriacea e lucente
-
alla regale magnolia, con i semi amaranto;
o alle conifere montane
le antiche cenozoiche.
Non diventate trasparenti, sempre più,
telari lisi
già scarse nel mese d'ottobre,
con nostalgie infinitesimali, un po' indeterminate
come i fischi d'un treno distante
e collegi là in fondo, dentro la foschia
- spazzini sotto muretti erbati,
irrealtà, quasi un disturbo visivo
che nell'intimo spaventa
con l'immagine talvolta
che la materia
d'improvviso scompaia.
Ma tutte le sfumate gradazioni
i delicati intrecci,
gl'inudibili crepitii particellari
sarebbero stati inutili: lo sperpero
d'un Dio, la sua noia.
E ogni minimo sgretolamento, tipo il trascurabile uragano,
il ferro sciolto nel magma,
dicono la fatica
dall'origine
e la tremenda concretezza del mondo,
- senza via di scampo per noi.
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